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Da Calamandrei a Mattarella, le regole e i valori per difendere e rilanciare libertà e democrazia

“La democrazia non è una conquista definitiva, va continuamente realizzata, vissuta, consolidata e interpretata”. Ma anche: “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.

In tempi così difficili e controversi, contro le cattive inclinazioni alla banalità e alla volgarità e le crescenti manifestazioni di fastidio verso la democrazia, vale la pena rileggere alcune delle pagine migliori della nostra letteratura politica. Come quelle dell’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, rivolto nell’aprile 2015 ai giovani vincitori del concorso “Dalla Resistenza alla Cittadinanza attiva”. E come il discorso di Piero Calamandrei sulla Costituzione, del 1955, con un passaggio essenziale: “È così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io. Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa”.

Però, continua Calamandrei, “la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai”.

La conclusione è esemplare, a futura memoria: “Vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica”.

Dalla fine della Seconda Guerra mondiale, conclusa con la sconfitta del nazismo e del fascismo, abbiamo vissuto in Europa ottant’anni di pace, segnati dall’espansione di quella mirabile sintesi tra democrazia liberale, economia di mercato e welfare State, cioè tra libertà, intraprendenza, benessere e coesione sociale (tutte condizioni che, con troppa superficialità, abbiamo dato per acquisite una volta per tutte). L’implosione dell’impero sovietico, per i suoi profondi limiti politici, economici e sociali, dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989, ha confortato l’idea – sarebbe meglio dire l’illusione – di un radicale successo dell’Occidente, delle sue culture e dei suoi valori, sino ad alimentare l’arrogante e fallace idea della “esportazione  della democrazia”.

Ma la Storia, a dispetto delle previsioni di un pur brillante politologo come Francis Fukuyama, non era affatto “finita” con la “vittoria” occidentale. Tutt’altro. E oggi ci troviamo a fare i conti con le sconvolgenti fratture dei tradizionali equilibri geo-politici e con le  rivendicazioni di primato di valori e interessi di grandi protagonisti internazionali (la Cina, la Russia, l’Iran, la Turchia, il variegato mondo arabo, in attesa del nuovo protagonismo che si farà sentire dall’Africa), mentre i cambiamenti politici e culturali in corso a Washington ci costringono a riconsiderare il ruolo degli Usa, vissuti abitualmente come cardine della democrazia occidentale.

La nuova stagione sembra, insomma, connotata dallo spazio crescente delle autocrazie. E la democrazia liberale annaspa. Vive la sensazione d’essere sotto scacco dall’esterno (la guerra in Ucraina ne offre un’esemplare testimonianza). E avverte scricchiolii anche al proprio interno. Aumenta, infatti, la disaffezione verso la partecipazione alla vita politica e al voto, momento fondamentale nella costruzione della “volontà popolare” (uno dei timori nutriti da Calamandrei, appunto). Cresce l’indifferenza o peggio ancora l’insofferenza verso alcuni pilastri della democrazia: la divisione dei poteri tra organi dello Stato, l’autonomia della magistratura, la libertà di stampa, il valore del pensiero critico, la sacralità del pluralismo di pensiero.

È il tempo del populismo, del sovranismo egoista, dell’intolleranza verso le diversità, del fastidio per la ricerca scientifica e le complessità del lavoro intellettuale. La diffusione dei social media, con il gioco povero dei “like” che immiseriscono pensieri e parole, amplifica la crisi.

Ecco perché è necessario, proprio per difendere e rilanciare “il respiro della libertà”, tornare a ragionare criticamente, a creare nuovi spazi dialettici delle relazioni internazionali, comunque necessarie. E a parlare di politica, a studiare la storia, il diritto e l’economia, a riflettere sui nostri valori e sui fondamenti della democrazia. Che vanno oltre il semplice voto elettorale. E non contemplano affatto lo schiacciamento della vita sociale e politica nella parodia d’una mano di poker “all in”, chi vince la tornata elettorale è padrone assoluto di tutto lo scenario democratico.

Leggere e discutere, dunque. Fermare l’attenzione sulle parole dei “padri della Costituzione”, figlia di una sintesi delle migliori correnti del pensiero politico italiano, quello cattolico, quello liberale e quello di socialisti e comunisti legati ai valori della democrazia parlamentare (gli Atti dell’Assemblea Costituente ne forniscono luminose testimonianze). Riprendere in mano gli autori europei del pensiero liberale e democratico (compresi i tre firmatari del “Manifesto di Ventotene” Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni). Ragionare sulle relazioni tra libertà e responsabilità, storia e futuro, ricordando la lezione di Aldo Moro sulla “nuova stagione dei doveri” necessaria al rinnovamento della democrazia italiana (fu ucciso per mano delle Brigate Rosse e su mandato anche di poteri finora non individuati con chiarezza giudiziaria, proprio per impedire quel rinnovamento).

Serve, per farlo, fermare l’attenzione su un libro essenziale, “Vi auguro la democrazia”, una raccolta di discorsi del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella appena pubblicato da De Agostini (con una prefazione di Corrado Augias) e rivolta alle giovani generazioni, da cui abbiamo tratto la citazione iniziale di questo blog. Scrive, appunto, Mattarella: “La democrazia non è una conquista definitiva, va continuamente realizzata, vissuta, consolidata e interpretata, perché i tempi mutano, mutano le forme della comunicazione. La democrazia va ogni volta, in ogni tempo, inverata, perché sia autentica nei suoi valori, nelle modalità che cambiano di stagione in stagione. Vive perché viene applicata e attuata. Realizzata sempre, nei tempi che mutano e nelle condizioni che cambiano, rispettando i suoi valori”.

Democrazia in movimento. Da vivere e fare vivere. Cultura da approfondire. Memoria da difendere (fondamentale impegno, in tempi in cui, incuranti dei fatti, ci sono poteri e potenti che teorizzano le “verità alternative” e sui social spacciano “fattoidi” per fatti). Futuro responsabilmente da costruire. E conoscenza su cui fondare scelte e comportamenti.

Anche le conoscenze giuridiche e istituzionali. Come mostrano le pagine di “I presidenti della Repubblica e le crisi di governo – Cinquant’anni di storia italiana 1971- 2021”, una raccolta di saggi curata da Stefano Sepe e Oriana Giacalone, pubblicata da Editoriale Scientifica nella collana dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”. Riflessioni acute e sapienti. Con un rinvio fondamentale alla lezione di Costantino Mortati (uno dei “padri Costituenti”, maestro di Diritto Costituzionale per generazioni di giuristi, dagli anni Cinquanta in poi) sul “potere moderatore” del Presidente della Repubblica nella composizione dei governi post elezioni e nella soluzione delle crisi di governo: il compito dell’inquilino del Quirinale è “accertare la corrispondenza degli orientamenti popolari con quelli degli organi rappresentativi e di questi ultimi tra loro, onde mantenere una costante armonia”. Democrazia come pluralità, appunto. Equilibrio tra poteri. Pesi e contrappesi. Tutto il contrario dell’ “uomo solo al comando”. La nostra democrazia da continuare a fare vivere e crescere.

(foto Getty Images)

“La democrazia non è una conquista definitiva, va continuamente realizzata, vissuta, consolidata e interpretata”. Ma anche: “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.

In tempi così difficili e controversi, contro le cattive inclinazioni alla banalità e alla volgarità e le crescenti manifestazioni di fastidio verso la democrazia, vale la pena rileggere alcune delle pagine migliori della nostra letteratura politica. Come quelle dell’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, rivolto nell’aprile 2015 ai giovani vincitori del concorso “Dalla Resistenza alla Cittadinanza attiva”. E come il discorso di Piero Calamandrei sulla Costituzione, del 1955, con un passaggio essenziale: “È così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io. Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa”.

Però, continua Calamandrei, “la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai”.

La conclusione è esemplare, a futura memoria: “Vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica”.

Dalla fine della Seconda Guerra mondiale, conclusa con la sconfitta del nazismo e del fascismo, abbiamo vissuto in Europa ottant’anni di pace, segnati dall’espansione di quella mirabile sintesi tra democrazia liberale, economia di mercato e welfare State, cioè tra libertà, intraprendenza, benessere e coesione sociale (tutte condizioni che, con troppa superficialità, abbiamo dato per acquisite una volta per tutte). L’implosione dell’impero sovietico, per i suoi profondi limiti politici, economici e sociali, dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989, ha confortato l’idea – sarebbe meglio dire l’illusione – di un radicale successo dell’Occidente, delle sue culture e dei suoi valori, sino ad alimentare l’arrogante e fallace idea della “esportazione  della democrazia”.

Ma la Storia, a dispetto delle previsioni di un pur brillante politologo come Francis Fukuyama, non era affatto “finita” con la “vittoria” occidentale. Tutt’altro. E oggi ci troviamo a fare i conti con le sconvolgenti fratture dei tradizionali equilibri geo-politici e con le  rivendicazioni di primato di valori e interessi di grandi protagonisti internazionali (la Cina, la Russia, l’Iran, la Turchia, il variegato mondo arabo, in attesa del nuovo protagonismo che si farà sentire dall’Africa), mentre i cambiamenti politici e culturali in corso a Washington ci costringono a riconsiderare il ruolo degli Usa, vissuti abitualmente come cardine della democrazia occidentale.

La nuova stagione sembra, insomma, connotata dallo spazio crescente delle autocrazie. E la democrazia liberale annaspa. Vive la sensazione d’essere sotto scacco dall’esterno (la guerra in Ucraina ne offre un’esemplare testimonianza). E avverte scricchiolii anche al proprio interno. Aumenta, infatti, la disaffezione verso la partecipazione alla vita politica e al voto, momento fondamentale nella costruzione della “volontà popolare” (uno dei timori nutriti da Calamandrei, appunto). Cresce l’indifferenza o peggio ancora l’insofferenza verso alcuni pilastri della democrazia: la divisione dei poteri tra organi dello Stato, l’autonomia della magistratura, la libertà di stampa, il valore del pensiero critico, la sacralità del pluralismo di pensiero.

È il tempo del populismo, del sovranismo egoista, dell’intolleranza verso le diversità, del fastidio per la ricerca scientifica e le complessità del lavoro intellettuale. La diffusione dei social media, con il gioco povero dei “like” che immiseriscono pensieri e parole, amplifica la crisi.

Ecco perché è necessario, proprio per difendere e rilanciare “il respiro della libertà”, tornare a ragionare criticamente, a creare nuovi spazi dialettici delle relazioni internazionali, comunque necessarie. E a parlare di politica, a studiare la storia, il diritto e l’economia, a riflettere sui nostri valori e sui fondamenti della democrazia. Che vanno oltre il semplice voto elettorale. E non contemplano affatto lo schiacciamento della vita sociale e politica nella parodia d’una mano di poker “all in”, chi vince la tornata elettorale è padrone assoluto di tutto lo scenario democratico.

Leggere e discutere, dunque. Fermare l’attenzione sulle parole dei “padri della Costituzione”, figlia di una sintesi delle migliori correnti del pensiero politico italiano, quello cattolico, quello liberale e quello di socialisti e comunisti legati ai valori della democrazia parlamentare (gli Atti dell’Assemblea Costituente ne forniscono luminose testimonianze). Riprendere in mano gli autori europei del pensiero liberale e democratico (compresi i tre firmatari del “Manifesto di Ventotene” Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni). Ragionare sulle relazioni tra libertà e responsabilità, storia e futuro, ricordando la lezione di Aldo Moro sulla “nuova stagione dei doveri” necessaria al rinnovamento della democrazia italiana (fu ucciso per mano delle Brigate Rosse e su mandato anche di poteri finora non individuati con chiarezza giudiziaria, proprio per impedire quel rinnovamento).

Serve, per farlo, fermare l’attenzione su un libro essenziale, “Vi auguro la democrazia”, una raccolta di discorsi del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella appena pubblicato da De Agostini (con una prefazione di Corrado Augias) e rivolta alle giovani generazioni, da cui abbiamo tratto la citazione iniziale di questo blog. Scrive, appunto, Mattarella: “La democrazia non è una conquista definitiva, va continuamente realizzata, vissuta, consolidata e interpretata, perché i tempi mutano, mutano le forme della comunicazione. La democrazia va ogni volta, in ogni tempo, inverata, perché sia autentica nei suoi valori, nelle modalità che cambiano di stagione in stagione. Vive perché viene applicata e attuata. Realizzata sempre, nei tempi che mutano e nelle condizioni che cambiano, rispettando i suoi valori”.

Democrazia in movimento. Da vivere e fare vivere. Cultura da approfondire. Memoria da difendere (fondamentale impegno, in tempi in cui, incuranti dei fatti, ci sono poteri e potenti che teorizzano le “verità alternative” e sui social spacciano “fattoidi” per fatti). Futuro responsabilmente da costruire. E conoscenza su cui fondare scelte e comportamenti.

Anche le conoscenze giuridiche e istituzionali. Come mostrano le pagine di “I presidenti della Repubblica e le crisi di governo – Cinquant’anni di storia italiana 1971- 2021”, una raccolta di saggi curata da Stefano Sepe e Oriana Giacalone, pubblicata da Editoriale Scientifica nella collana dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”. Riflessioni acute e sapienti. Con un rinvio fondamentale alla lezione di Costantino Mortati (uno dei “padri Costituenti”, maestro di Diritto Costituzionale per generazioni di giuristi, dagli anni Cinquanta in poi) sul “potere moderatore” del Presidente della Repubblica nella composizione dei governi post elezioni e nella soluzione delle crisi di governo: il compito dell’inquilino del Quirinale è “accertare la corrispondenza degli orientamenti popolari con quelli degli organi rappresentativi e di questi ultimi tra loro, onde mantenere una costante armonia”. Democrazia come pluralità, appunto. Equilibrio tra poteri. Pesi e contrappesi. Tutto il contrario dell’ “uomo solo al comando”. La nostra democrazia da continuare a fare vivere e crescere.

(foto Getty Images)

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