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Contro “la fabbrica degli ignoranti” costruire biblioteche e abituare i bambini al piacere dei libri e della fantasia

“Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici: una volta che li avete inventati, non potete fare di meglio”. La frase, famosa, è di Umberto Eco. Ed è facile ricordarsene tutte le volte in cui vale la pena ribadire, con esemplare chiarezza, l’essenzialità della lettura, del piacere del testo, del gioco di trovare, tra le parole ben impaginate, il gusto della conoscenza, della scoperta, dell’avventura. “Non sperate di liberarvi dei libri”, sosteneva appunto Eco, in una brillante e colta conversazione con Jean-Claude Carrière, pubblicata nel 2017 da La nave di Teseo.

Riprendere in mano i libri, dunque. E abituare le bambine e i bambini, fin da piccoli, a considerarli oggetti normali, piacevoli, divertenti, che animano la nostra quotidianità. Come il cucchiaio, appunto.

Oggi siamo davanti alle considerazioni dell’ultimo rapporto Censis che descrive realisticamente e impietosamente gli italiani oramai rassegnati a vivere in un paese impoverito e scoraggiato, “intrappolato nella continuità nella medietà”, convinto che sia impossibile risalire la scala sociale e dunque ripiegato a “galleggiare”, con un sistema di istruzione ridotto a “fabbrica di ignoranti”, uno status di cui purtroppo in tanti si mostrano “orgogliosi” (Antonio Polito, Corriere della Sera, 7 dicembre), senza rendersi conto d’essere “esposti alla lusinga della manipolazione nel caos digitale e dunque “succubi e sudditi” (Agnese Pini, Il Giorno, 8 dicembre). E dunque è ancora più necessario e urgente investire risorse, intelligenze e volontà nei luoghi d’elezione dei libri, le biblioteche e le librerie e fare capire la bellezza della lettura già fin dall’inizio delle scuole primarie. Una scommessa culturale e civile. Un impegno fondamentale che investe le persone di cultura, ma anche le istituzioni, la scuola, la politica e gli attori sociali, a cominciare proprio dalle imprese.

Ancora due frasi, per continuare a ragionare. La prima è di Gianni Rodari, uno dei migliori scrittori per bambini del Novecento (sulle pagine di “Favole al telefono” e “La grammatica della fantasia” si sono formate più di un paio di generazioni): “Tutti gli usi della parola a tutti” mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico, non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”. La seconda è di Marguerite Yourcenar, tratta da “Le memorie di Adriano”: “Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”.

Ecco il punto: fondare biblioteche, in accompagnamento e sostegno a una necessaria politica che ridia spazio e dignità alla formazione, allo studio, alla ricerca, ai valori della conoscenza e della scienza.

Biblioteche di quartiere. E biblioteche scolastiche, ricche di libri adatti agli interessi e alle passioni di bambini e adolescenti. Biblioteche di condominio (a Milano ce ne sono più di venti, la prima è stata fondata nel 2013). Ma anche biblioteche in fabbrica, negli uffici, in tutti i posti di lavoro in cui si ritrovano comunità di persone. Biblioteche negli ospedali. E, perché no?, negli alberghi, per fare compagnia ai viaggiatori nelle notti in cui è più difficile ritrovare il sonno. Un investimento pubblico e privato sulla lettura. All’insegna di un buon motto che connota una delle più stimolanti fiere letterarie, “Più libri, più liberi” e dunque anche più consapevoli, più critici, più cittadini responsabili.

Quelle biblioteche (in scuole, quartieri, fabbriche, etc.) potrebbero anche essere messe in circolo, collegate ai sistemi bibliotecari di comuni e regioni, rifornite di volumi scelti secondo gli interessi dei vari gruppi di lettori. E diventare punti di incontro, di conversazione, di confronto. Luoghi in cui matura il capitale sociale di una comunità.

Di biblioteche in fabbrica ce ne sono già alcune, in Pirelli (secondo una tradizione di buona cultura d’impresa che risale alla prima metà del Novecento) e in Bracco a Milano, all’Unipol di Bologna, in Italchimica a Padova e alla Tosa Group di Santo Stefano Belbo, alla toscana NtFood, al Gruppo Casalino di Corato (Bari) e alla Farmalabor di Canosa di Puglia e in parecchi altri posti ancora. E di avviare un programma ambizioso di diffusione dell’iniziativa si parla nelle riunioni del Gruppo Cultura di Confindustria, rilanciando un’idea già avviata una decina di anni fa.

In più d’una di quelle biblioteche aziendali ci sono reparti specializzati in libri per bambini e ragazzi. Leggere, appunto, migliora la qualità degli ambienti di lavoro e dei meccanismi di welfare. E stimola i genitori a fare leggere i loro ragazzi, senza peraltro incidere sui bilanci familiari.

Se ne è parlato, nei giorni scorsi, anche durante la riunione della giuria del Premio Campiello Junior (promosso dalla Fondazione Campiello e dalla Fondazione Pirelli) per scegliere le terne di libri da affidare al giudizio delle due “giurie popolari” composte da 240 ragazzi, una per i libri dai 7 ai 10 anni e l’altra per la fascia d’età dagli 11 ai 14 anni. Con una idea di fondo: tutti gli strumenti utili a stimolare la lettura (dai libri ben scritti ai luoghi in cui andarli a trovare) sono quanto mai essenziali per cercare di fare fronte non solo alle curiosità di una buona, equilibrata crescita personale, ma anche per provare a trovare risposte al diffuso senso di incertezza e di smarrimento.

Viviamo, infatti, tempi complicati, difficili, controversi, carichi di tensioni e di conflitti. “Tempi rabbiosi”, li definisce lo scrittore Sandro Veronesi, facendo riferimento pure al ruolo negativo dei social media (La Stampa, 6 dicembre). Ed è dunque necessario costruire menti aperte, in grado di fare i conti con un pensiero diverso dal loro, senza doverlo fare proprio, ma senza respingerlo. Perché proprio la diversità delle opinioni, dei pareri, delle emozioni, delle sensazioni, è una ricchezza, il sale della “società aperta”, l’essenza della democrazia.

Educare le bambine e i bambini alla discussione e all’accettazione delle diversità è, appunto, una grande responsabilità culturale e civile. E la chiave sta nel piacere di leggere, di giocare con le parole, di scoprire nuovi luoghi ed entrare in altre vite e in altre avventure, di costruirsi con la fantasia universi meno disagiati. Non per evadere, ma per avere consapevolezza della storia che viviamo e del futuro migliore che possiamo costruire.

È vero, i consumi culturali delle nuove generazioni passano poco attraverso i libri e molto di più attraverso gli strumenti digitali, i social media, i canali come Tik Tok. Battaglia di minoranza, allora, battaglia persa, insistere sui libri? Probabilmente no. L’editoria giovanile, come dimostrano i dati della Fiera di Bologna specializzata in editoria infantile e giovanile, testimoniano una grande e crescente vitalità del settore pure in Italia, oltre che negli Usa, nei paesi del Nord Europa e in Francia. E l’esperienza di chi ha figli e nipoti mostra come bambine e bambini usino con grande disinvoltura sia i libri di carta che i contenitori digitali. Bravissimi, insomma, gli editori che fanno libri di carta belli da usare pure per i bambini molto piccoli e tutti coloro che costruiscono prodotti adatti alle generazioni che non vivono la contraddizione tecnologica e passano tranquillamente dai cartoni Tv e dai video ai libri di carta e ai libri letti sui device digitali.

Siamo dentro una transizione quanto mai complessa, di stili di vita, abitudini, consumi e costumi. Di linguaggi e tecnologie. La diffusione dell’Intelligenza Artificiale, che incide molto sui processi e sui prodotti culturali, rende il contesto ancora più complicato. Ecco, allora, perché è indispensabile fare crescere la capacità di lettura, stimolare la fantasia personale, favorire il pensiero critico. Premiare chi lavora per una buona letteratura per l’infanzia e l’adolescenza. E fondare biblioteche. Ricordando appunto il saggio imperatore Adriano: ammassare riserve contro “l’inverno dello spirito” che vediamo tutti arrivare. E a cui non ci si può rassegnare.

(Photo Getty Images)

“Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici: una volta che li avete inventati, non potete fare di meglio”. La frase, famosa, è di Umberto Eco. Ed è facile ricordarsene tutte le volte in cui vale la pena ribadire, con esemplare chiarezza, l’essenzialità della lettura, del piacere del testo, del gioco di trovare, tra le parole ben impaginate, il gusto della conoscenza, della scoperta, dell’avventura. “Non sperate di liberarvi dei libri”, sosteneva appunto Eco, in una brillante e colta conversazione con Jean-Claude Carrière, pubblicata nel 2017 da La nave di Teseo.

Riprendere in mano i libri, dunque. E abituare le bambine e i bambini, fin da piccoli, a considerarli oggetti normali, piacevoli, divertenti, che animano la nostra quotidianità. Come il cucchiaio, appunto.

Oggi siamo davanti alle considerazioni dell’ultimo rapporto Censis che descrive realisticamente e impietosamente gli italiani oramai rassegnati a vivere in un paese impoverito e scoraggiato, “intrappolato nella continuità nella medietà”, convinto che sia impossibile risalire la scala sociale e dunque ripiegato a “galleggiare”, con un sistema di istruzione ridotto a “fabbrica di ignoranti”, uno status di cui purtroppo in tanti si mostrano “orgogliosi” (Antonio Polito, Corriere della Sera, 7 dicembre), senza rendersi conto d’essere “esposti alla lusinga della manipolazione nel caos digitale e dunque “succubi e sudditi” (Agnese Pini, Il Giorno, 8 dicembre). E dunque è ancora più necessario e urgente investire risorse, intelligenze e volontà nei luoghi d’elezione dei libri, le biblioteche e le librerie e fare capire la bellezza della lettura già fin dall’inizio delle scuole primarie. Una scommessa culturale e civile. Un impegno fondamentale che investe le persone di cultura, ma anche le istituzioni, la scuola, la politica e gli attori sociali, a cominciare proprio dalle imprese.

Ancora due frasi, per continuare a ragionare. La prima è di Gianni Rodari, uno dei migliori scrittori per bambini del Novecento (sulle pagine di “Favole al telefono” e “La grammatica della fantasia” si sono formate più di un paio di generazioni): “Tutti gli usi della parola a tutti” mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico, non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”. La seconda è di Marguerite Yourcenar, tratta da “Le memorie di Adriano”: “Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”.

Ecco il punto: fondare biblioteche, in accompagnamento e sostegno a una necessaria politica che ridia spazio e dignità alla formazione, allo studio, alla ricerca, ai valori della conoscenza e della scienza.

Biblioteche di quartiere. E biblioteche scolastiche, ricche di libri adatti agli interessi e alle passioni di bambini e adolescenti. Biblioteche di condominio (a Milano ce ne sono più di venti, la prima è stata fondata nel 2013). Ma anche biblioteche in fabbrica, negli uffici, in tutti i posti di lavoro in cui si ritrovano comunità di persone. Biblioteche negli ospedali. E, perché no?, negli alberghi, per fare compagnia ai viaggiatori nelle notti in cui è più difficile ritrovare il sonno. Un investimento pubblico e privato sulla lettura. All’insegna di un buon motto che connota una delle più stimolanti fiere letterarie, “Più libri, più liberi” e dunque anche più consapevoli, più critici, più cittadini responsabili.

Quelle biblioteche (in scuole, quartieri, fabbriche, etc.) potrebbero anche essere messe in circolo, collegate ai sistemi bibliotecari di comuni e regioni, rifornite di volumi scelti secondo gli interessi dei vari gruppi di lettori. E diventare punti di incontro, di conversazione, di confronto. Luoghi in cui matura il capitale sociale di una comunità.

Di biblioteche in fabbrica ce ne sono già alcune, in Pirelli (secondo una tradizione di buona cultura d’impresa che risale alla prima metà del Novecento) e in Bracco a Milano, all’Unipol di Bologna, in Italchimica a Padova e alla Tosa Group di Santo Stefano Belbo, alla toscana NtFood, al Gruppo Casalino di Corato (Bari) e alla Farmalabor di Canosa di Puglia e in parecchi altri posti ancora. E di avviare un programma ambizioso di diffusione dell’iniziativa si parla nelle riunioni del Gruppo Cultura di Confindustria, rilanciando un’idea già avviata una decina di anni fa.

In più d’una di quelle biblioteche aziendali ci sono reparti specializzati in libri per bambini e ragazzi. Leggere, appunto, migliora la qualità degli ambienti di lavoro e dei meccanismi di welfare. E stimola i genitori a fare leggere i loro ragazzi, senza peraltro incidere sui bilanci familiari.

Se ne è parlato, nei giorni scorsi, anche durante la riunione della giuria del Premio Campiello Junior (promosso dalla Fondazione Campiello e dalla Fondazione Pirelli) per scegliere le terne di libri da affidare al giudizio delle due “giurie popolari” composte da 240 ragazzi, una per i libri dai 7 ai 10 anni e l’altra per la fascia d’età dagli 11 ai 14 anni. Con una idea di fondo: tutti gli strumenti utili a stimolare la lettura (dai libri ben scritti ai luoghi in cui andarli a trovare) sono quanto mai essenziali per cercare di fare fronte non solo alle curiosità di una buona, equilibrata crescita personale, ma anche per provare a trovare risposte al diffuso senso di incertezza e di smarrimento.

Viviamo, infatti, tempi complicati, difficili, controversi, carichi di tensioni e di conflitti. “Tempi rabbiosi”, li definisce lo scrittore Sandro Veronesi, facendo riferimento pure al ruolo negativo dei social media (La Stampa, 6 dicembre). Ed è dunque necessario costruire menti aperte, in grado di fare i conti con un pensiero diverso dal loro, senza doverlo fare proprio, ma senza respingerlo. Perché proprio la diversità delle opinioni, dei pareri, delle emozioni, delle sensazioni, è una ricchezza, il sale della “società aperta”, l’essenza della democrazia.

Educare le bambine e i bambini alla discussione e all’accettazione delle diversità è, appunto, una grande responsabilità culturale e civile. E la chiave sta nel piacere di leggere, di giocare con le parole, di scoprire nuovi luoghi ed entrare in altre vite e in altre avventure, di costruirsi con la fantasia universi meno disagiati. Non per evadere, ma per avere consapevolezza della storia che viviamo e del futuro migliore che possiamo costruire.

È vero, i consumi culturali delle nuove generazioni passano poco attraverso i libri e molto di più attraverso gli strumenti digitali, i social media, i canali come Tik Tok. Battaglia di minoranza, allora, battaglia persa, insistere sui libri? Probabilmente no. L’editoria giovanile, come dimostrano i dati della Fiera di Bologna specializzata in editoria infantile e giovanile, testimoniano una grande e crescente vitalità del settore pure in Italia, oltre che negli Usa, nei paesi del Nord Europa e in Francia. E l’esperienza di chi ha figli e nipoti mostra come bambine e bambini usino con grande disinvoltura sia i libri di carta che i contenitori digitali. Bravissimi, insomma, gli editori che fanno libri di carta belli da usare pure per i bambini molto piccoli e tutti coloro che costruiscono prodotti adatti alle generazioni che non vivono la contraddizione tecnologica e passano tranquillamente dai cartoni Tv e dai video ai libri di carta e ai libri letti sui device digitali.

Siamo dentro una transizione quanto mai complessa, di stili di vita, abitudini, consumi e costumi. Di linguaggi e tecnologie. La diffusione dell’Intelligenza Artificiale, che incide molto sui processi e sui prodotti culturali, rende il contesto ancora più complicato. Ecco, allora, perché è indispensabile fare crescere la capacità di lettura, stimolare la fantasia personale, favorire il pensiero critico. Premiare chi lavora per una buona letteratura per l’infanzia e l’adolescenza. E fondare biblioteche. Ricordando appunto il saggio imperatore Adriano: ammassare riserve contro “l’inverno dello spirito” che vediamo tutti arrivare. E a cui non ci si può rassegnare.

(Photo Getty Images)

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