Arte d’impresa
Una ricerca appena pubblicata mette in relazione la storia dell’arte con le attività delle imprese collegate alla valorizzazione del loro patrimonio
Musei come luoghi di cultura viva e “produttiva”, soprattutto quando fanno parte di un sistema d’impresa che si nutre di passato oltre che di presente per costruire un futuro importante. Musei che raccolgono, valorizzano e mettono a disposizione del pubblico patrimoni aziendali ma anche di territorio, di ambito produttivo che, altrimenti, verrebbero irrimediabilmente persi. E’ attorno a queste idee che lavora Virginia Spadaccini con “The Fortune of the Ancient World’s Heritage Within the Context of Fashion Museums’ Communication in Italy”, una ricerca apparsa recentemente in Zone Moda Journal.
Obiettivo del lavoro non è solo quello di dimostrare il contributo e il potenziale comunicativo dei classici alla storia dell’arte italiana e, di conseguenza, alla storia della moda italiana, ma anche quello di approfondire le modalità con le quali alcune delle più importante imprese del sistema-moda hanno usato il loro patrimonio storico e culturale.
Alla base di tutto, la constatazione di quanto la storia e l’arte del passato possano essere formidabili strumenti di accreditamento presso particolari porzioni dell’opinione pubblica, ma veicoli di promozione delle organizzazioni (anche d’impresa) che riescono a valorizzarle e riproporle, così come tramite di un’eredità del saper fare che si rispecchia nel presente e garantisce qualità e affidabilità anche nel futuro.
Spadaccini, dopo un’introduzione che riesce a collegare la valorizzazione dell’arte nell’ambito storico più generale, approfondisce quindi alcuni casi di musei d’impresa che più di altri riescono nell’obiettivo – il Museo Salvatore Ferragamo e il Gucci Garden -, ma anche il Museo Valentino Garavani, il pionieristico museo virtuale della moda lanciato nel 2011 l’immaginario di un tempio moderno come il Museo dell’Ara Pacis a Roma con i suoi “marmi” a decorare le pareti, gli ampi spazi interni scanditi da scale e lucernari. All’esame della ricercatrice, poi, altre esperienze come quelle di Brioni e Bulgari. Oltre ai musei e archivi d’impresa, Spadaccini ricorda inoltre alcune mostre iconiche e sfilate di moda organizzate da marchi di lusso in luoghi culturali viste come espressione generale dell’uso del patrimonio mondiale antico come strumento nella narrazione della moda italiana.
Annota quindi Spadaccini: “Le attività del museo aziendale sono disciplinate dalle leggi del profitto, sebbene il profitto non sia misurabile secondo parametri materiali bensì immateriali: tali istituti, di norma legalmente inquadrabili come fondazioni senza scopo di lucro, debbono sostenere costi di manutenzione nettamente maggiori delle entrate. Dunque i vantaggi si misurano in termini squisitamente comunicativi: attraverso il ritorno d’immagine di cui beneficiano le aziende quando si dotano di un museo, le imprese guadagnano autorevolezza e maggiore engagement”.
La collaborazione tra luoghi di cultura e grandi imprese e le strategie che le sostengono, conclude quindi la ricercatrice dell’Università di Chiet-Pescara, raggiunge pure un altro obiettivo: essere non solo “utilizzate a vantaggio dei brand in termini di ritorno d’immagine” ma anche come in termini di “benefici per le istituzioni che, potendo contare su fattori quali la disponibilità economica o la risonanza mediatica garantita dal giornalismo di moda, riescono a risollevare le proprie finanze e a uscire dall’oblio al quale sembrerebbero talvolta condannate. Questa appare dunque la chiave da cui partire per comunicare e valorizzare la moda nei musei italiani che si lega indissolubilmente all’artigianato e all’arte, marchio di fabbrica tipicamente italiano”.
Virginia Spadaccini
ZoneModa Journal. Vol.12 n.1 (2022)
Una ricerca appena pubblicata mette in relazione la storia dell’arte con le attività delle imprese collegate alla valorizzazione del loro patrimonio
Musei come luoghi di cultura viva e “produttiva”, soprattutto quando fanno parte di un sistema d’impresa che si nutre di passato oltre che di presente per costruire un futuro importante. Musei che raccolgono, valorizzano e mettono a disposizione del pubblico patrimoni aziendali ma anche di territorio, di ambito produttivo che, altrimenti, verrebbero irrimediabilmente persi. E’ attorno a queste idee che lavora Virginia Spadaccini con “The Fortune of the Ancient World’s Heritage Within the Context of Fashion Museums’ Communication in Italy”, una ricerca apparsa recentemente in Zone Moda Journal.
Obiettivo del lavoro non è solo quello di dimostrare il contributo e il potenziale comunicativo dei classici alla storia dell’arte italiana e, di conseguenza, alla storia della moda italiana, ma anche quello di approfondire le modalità con le quali alcune delle più importante imprese del sistema-moda hanno usato il loro patrimonio storico e culturale.
Alla base di tutto, la constatazione di quanto la storia e l’arte del passato possano essere formidabili strumenti di accreditamento presso particolari porzioni dell’opinione pubblica, ma veicoli di promozione delle organizzazioni (anche d’impresa) che riescono a valorizzarle e riproporle, così come tramite di un’eredità del saper fare che si rispecchia nel presente e garantisce qualità e affidabilità anche nel futuro.
Spadaccini, dopo un’introduzione che riesce a collegare la valorizzazione dell’arte nell’ambito storico più generale, approfondisce quindi alcuni casi di musei d’impresa che più di altri riescono nell’obiettivo – il Museo Salvatore Ferragamo e il Gucci Garden -, ma anche il Museo Valentino Garavani, il pionieristico museo virtuale della moda lanciato nel 2011 l’immaginario di un tempio moderno come il Museo dell’Ara Pacis a Roma con i suoi “marmi” a decorare le pareti, gli ampi spazi interni scanditi da scale e lucernari. All’esame della ricercatrice, poi, altre esperienze come quelle di Brioni e Bulgari. Oltre ai musei e archivi d’impresa, Spadaccini ricorda inoltre alcune mostre iconiche e sfilate di moda organizzate da marchi di lusso in luoghi culturali viste come espressione generale dell’uso del patrimonio mondiale antico come strumento nella narrazione della moda italiana.
Annota quindi Spadaccini: “Le attività del museo aziendale sono disciplinate dalle leggi del profitto, sebbene il profitto non sia misurabile secondo parametri materiali bensì immateriali: tali istituti, di norma legalmente inquadrabili come fondazioni senza scopo di lucro, debbono sostenere costi di manutenzione nettamente maggiori delle entrate. Dunque i vantaggi si misurano in termini squisitamente comunicativi: attraverso il ritorno d’immagine di cui beneficiano le aziende quando si dotano di un museo, le imprese guadagnano autorevolezza e maggiore engagement”.
La collaborazione tra luoghi di cultura e grandi imprese e le strategie che le sostengono, conclude quindi la ricercatrice dell’Università di Chiet-Pescara, raggiunge pure un altro obiettivo: essere non solo “utilizzate a vantaggio dei brand in termini di ritorno d’immagine” ma anche come in termini di “benefici per le istituzioni che, potendo contare su fattori quali la disponibilità economica o la risonanza mediatica garantita dal giornalismo di moda, riescono a risollevare le proprie finanze e a uscire dall’oblio al quale sembrerebbero talvolta condannate. Questa appare dunque la chiave da cui partire per comunicare e valorizzare la moda nei musei italiani che si lega indissolubilmente all’artigianato e all’arte, marchio di fabbrica tipicamente italiano”.
Virginia Spadaccini
ZoneModa Journal. Vol.12 n.1 (2022)