Luoghi d’innovazione
Confronto Italia-Usa su uno degli strumenti più importanti per creare sviluppo e crescita
Distretti d’innovazione, e cioè luoghi nei quali si riesce a coniugare tecnologia, opportunità di territorio, reti di rapporti umani e produttivi. Luoghi nei quali è più facile far nascere e far crescere eccellenze produttive di prim’ordine. Il tema non è nuovo, ma deve essere rinnovato con l’evoluzione delle cose e delle persone. Oltre che con gli esempi tratti da altre aree economiche. Ed è comunque un argomento di primo piano nella prospettiva di sviluppo che ci si deve dare. Per questo, i distretti d’innovazione sono contenuti anche nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Attorno al concetto e alla sua declinazione territoriale, ragiona “Il recepimento dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: spunti metodologici dalle esperienze statunitensi dei distretti d’innovazione dell’area di Boston” nota di ricerca proposta da Luna Kappler (dell’Università “Sapienza” di Roma, DICEA – Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale) che sottolinea “l’opportunità di riflettere sulle necessità future di luoghi che, ospitando ad oggi 3,5 miliardi di persone”, che “sono sempre più centri propulsori di idee, commercio, cultura, scienza, produttività e sviluppo sociale”.
Proprio i distretti d’innovazione sarebbero “la risposta statunitense alla crisi ed alla base del transatlantic productivity gap con l’Europa”.
Il lavoro quindi affronta il concetto di distretto d’innovazione: un’area geografica compatta ed accessibile, dove istituzioni trainanti e compagnie si connettono tra loro ed a start-up. Un luogo dove anche la stessa governance è stata cambiata per arrivare a promuovere l’accesso all’innovazione, di moltiplicare opportunità e di favorire nuove forme dell’abitare.
Esperienze simili, fa notare Luna Kappler, ci sono anche in Italia. Ed è dal confronto tra il nostro Paese e gli Usa che derivano le indicazioni su cosa è mancato e su cosa occorre fare.
“Ci si aspetta di evidenziare – scrive Kappler -, che se negli Stati Uniti i distretti di innovazione hanno lasciato emergere un nuovo approccio alla città, in Italia è mancata questa prospettiva. per un’oggettiva difficoltà nell’individuare meccanismi di ripresa, soprattutto a livello regionale”. Così, l’esperienza vincente dell’area di Boston viene assunta ad esempio utile per comprendere meglio che cosa sia più utile fare dal punto di vista dell’amministrazione locale così come degli strumenti economici per attrarre promettenti investitori.
L’indagine di Luna Kappler è una buona sintesi di un tema complesso ma importante da comprendere.
Luna Kappler
Paper, s.d.
Confronto Italia-Usa su uno degli strumenti più importanti per creare sviluppo e crescita
Distretti d’innovazione, e cioè luoghi nei quali si riesce a coniugare tecnologia, opportunità di territorio, reti di rapporti umani e produttivi. Luoghi nei quali è più facile far nascere e far crescere eccellenze produttive di prim’ordine. Il tema non è nuovo, ma deve essere rinnovato con l’evoluzione delle cose e delle persone. Oltre che con gli esempi tratti da altre aree economiche. Ed è comunque un argomento di primo piano nella prospettiva di sviluppo che ci si deve dare. Per questo, i distretti d’innovazione sono contenuti anche nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Attorno al concetto e alla sua declinazione territoriale, ragiona “Il recepimento dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: spunti metodologici dalle esperienze statunitensi dei distretti d’innovazione dell’area di Boston” nota di ricerca proposta da Luna Kappler (dell’Università “Sapienza” di Roma, DICEA – Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale) che sottolinea “l’opportunità di riflettere sulle necessità future di luoghi che, ospitando ad oggi 3,5 miliardi di persone”, che “sono sempre più centri propulsori di idee, commercio, cultura, scienza, produttività e sviluppo sociale”.
Proprio i distretti d’innovazione sarebbero “la risposta statunitense alla crisi ed alla base del transatlantic productivity gap con l’Europa”.
Il lavoro quindi affronta il concetto di distretto d’innovazione: un’area geografica compatta ed accessibile, dove istituzioni trainanti e compagnie si connettono tra loro ed a start-up. Un luogo dove anche la stessa governance è stata cambiata per arrivare a promuovere l’accesso all’innovazione, di moltiplicare opportunità e di favorire nuove forme dell’abitare.
Esperienze simili, fa notare Luna Kappler, ci sono anche in Italia. Ed è dal confronto tra il nostro Paese e gli Usa che derivano le indicazioni su cosa è mancato e su cosa occorre fare.
“Ci si aspetta di evidenziare – scrive Kappler -, che se negli Stati Uniti i distretti di innovazione hanno lasciato emergere un nuovo approccio alla città, in Italia è mancata questa prospettiva. per un’oggettiva difficoltà nell’individuare meccanismi di ripresa, soprattutto a livello regionale”. Così, l’esperienza vincente dell’area di Boston viene assunta ad esempio utile per comprendere meglio che cosa sia più utile fare dal punto di vista dell’amministrazione locale così come degli strumenti economici per attrarre promettenti investitori.
L’indagine di Luna Kappler è una buona sintesi di un tema complesso ma importante da comprendere.
Luna Kappler
Paper, s.d.