Gio Ponti e Pirelli: architettura e design nell’Italia del boom
Il primo stabilimento della Pirelli in via Fabio Filzi era stato pesantemente danneggiato dai bombardamenti dell’estate 1943. Nel clima di ricostruzione del dopoguerra l’azienda decise di realizzare una nuova sede amministrativa e le opzioni erano due: la sistemazione della sede di viale Abruzzi, dove gli uffici erano stati trasferiti in seguito ai bombardamenti, oppure la costruzione di un nuovo edificio nell’area della “Brusada”, tra via Fabio Filzi e piazza Duca d’Aosta. Nonostante i costi dell’opzione Brusada fossero maggiori, e la superficie a disposizione nettamente inferiore, altri fattori entrarono in gioco nella decisione. L’idea di Alberto Pirelli era quella di realizzare un edificio dalla forte “individualità” in un’area dal grande valore simbolico per l’azienda: dalle macerie dello storico stabilimento sarebbe sorta una torre che avrebbe superato in altezza qualunque altro edificio di Milano. Come raccontano le carte del nostro Archivio Storico, nel 1950 gli ingegneri pirelliani Alberti e Loria e il consulente Giuseppe Valtolina furono incaricati della fase preliminare del progetto e nel 1952 fu coinvolto anche l’architetto Gio Ponti.
La scelta aziendale di un nome di prestigio come quello di Ponti, conosciuto in Italia ma anche all’estero e già ideatore di importanti complessi direzionali come quelli per la società Montecatini, sempre a Milano, rientrava pienamente nel carattere fortemente promozionale che l’operazione assunse sin da subito. Il grattacielo, definito dal critico d’arte britannico Reyner Banham nel 1961 un perfetto esempio di “architettura pubblicitaria”, rappresentava infatti per l’azienda un potente veicolo di immagine di modernità, progresso, slancio verso il futuro, internazionalità e nello stesso tempo di profonda milanesità. Fu infatti oggetto di una campagna di comunicazione che per estensione e durata non aveva eguali “neanche per i più eminenti grattacieli di New York” – scrive sempre Banham. Lo dimostrano i diversi articoli usciti su “Edilizia Moderna”, “Domus”, la rivista “Pirelli” che hanno preceduto e accompagnato la costruzione dell’edificio, e i numerosi materiali pubblicitari “istituzionali” con l’immagine del grattacielo prodotti dalla Pirelli per tutti gli anni Sessanta. Nel 1953 agli studi Valtolina-Dell’Orto e Ponti-Fornaroli-Rosselli fu affidato l’incarico per la progettazione esecutiva, la direzione dei lavori e il collaudo dell’edificio. Il progetto definitivo maturerà a fine 1954: una torre in cemento armato di 127 metri e 31 piani, con una pianta larga al centro che si stringe gradualmente ai lati fin quasi a chiudersi nelle punte. Con l’intervento degli ingegneri Pier Luigi Nervi e Arturo Danusso, chiamati alla progettazione della struttura in cemento armato, il progetto si concluse nel 1956. Il 12 luglio 1956 venne posata ufficialmente la prima pietra del grattacielo: da allora la crescita dell’edificio, piano dopo piano, giorno dopo giorno, scandì nell’immaginario collettivo il ritmo dello sviluppo della Pirelli, di Milano, dell’intero Paese, negli anni del boom economico. Un cantiere straordinario, in cui furono adottate soluzioni mai sperimentate prima.
Tutte le fasi del cantiere, dalla demolizione della Brusada fino al completamento del grattacielo, sono documentate da oltre 230 immagini, pubblicate sul nostro sito. Oltre a Calcagni, fotografo della Direzione Propaganda Pirelli, gli scatti furono realizzati dall’agenzia Publifoto e da noti autori come Aldo Ballo e Giancarlo Scalfati. Da oggi altre fotografie si aggiungono -nell’archivio online- a quelle della costruzione: oltre 390 immagini dell’edificio completato e circa 800 immagini che documentano gli interni dell’edificio, i materiali utilizzati per i rivestimenti, gli arredi. Gli interni sono progettati da Gio Ponti “in relazione e continuità con l’architettura”, secondo un’identità di stile che deve coinvolgere tutti gli ambienti e tutte le componenti d’arredo, nella convinzione “democratica” che tutti gli “abitanti” dell’edificio, dal presidente dell’azienda agli impiegati, debbano vivere gli stessi spazi.
Il design di Ponti coinvolge così le pareti e i pavimenti, tutti rivestiti da gomma e linoleum Pirelli, le porte, gli ascensori, gli orologi, gli apparecchi per l’illuminazione. E i mobili naturalmente, curati soprattutto da Ponti e da Alberto Rosselli: dalle sedie Arflex ai tavoli prodotti dall’azienda Rima in due versioni, per impiegati (con piano in linoleum) e per dirigenti (con piano in legno). Il colore, al quale Ponti teneva particolarmente – come dimostra il suo articolo del 1952 per la rivista “Pirelli”, “Tutto al mondo deve essere coloratissimo” – è utilizzato come “correttivo alla monotonia e alla impersonalità degli spazi” nelle porte, rivestite in linoleum rosso, e nei pavimenti, in linoleum “fantastico” giallo e nero. I servizi fotografici, realizzati nel 1960 con l’edificio ancora pressochè vuoto, documentano atri, corridoi, uffici, sale riunioni, toilette, la mensa, il centro meccanografico, l’auditorium da 600 posti destinato ai congressi e alle manifestazioni del Centro Culturale Pirelli. Tra le foto pubblicate trovano spazio anche i servizi di due grandi fotografi, Gianfranco Corso ed Enzo Nocera, che ritraggono i dipendenti Pirelli nel grattacielo per le inchieste sul lavoro pubblicate tra il 1974 e il 1975 sull’house organ “Fatti e Notizie”. Splendidi reportage che ci permettono di “entrare” nella storia di un edificio che da sessant’anni caratterizza lo skyline della città di Milano.
Il primo stabilimento della Pirelli in via Fabio Filzi era stato pesantemente danneggiato dai bombardamenti dell’estate 1943. Nel clima di ricostruzione del dopoguerra l’azienda decise di realizzare una nuova sede amministrativa e le opzioni erano due: la sistemazione della sede di viale Abruzzi, dove gli uffici erano stati trasferiti in seguito ai bombardamenti, oppure la costruzione di un nuovo edificio nell’area della “Brusada”, tra via Fabio Filzi e piazza Duca d’Aosta. Nonostante i costi dell’opzione Brusada fossero maggiori, e la superficie a disposizione nettamente inferiore, altri fattori entrarono in gioco nella decisione. L’idea di Alberto Pirelli era quella di realizzare un edificio dalla forte “individualità” in un’area dal grande valore simbolico per l’azienda: dalle macerie dello storico stabilimento sarebbe sorta una torre che avrebbe superato in altezza qualunque altro edificio di Milano. Come raccontano le carte del nostro Archivio Storico, nel 1950 gli ingegneri pirelliani Alberti e Loria e il consulente Giuseppe Valtolina furono incaricati della fase preliminare del progetto e nel 1952 fu coinvolto anche l’architetto Gio Ponti.
La scelta aziendale di un nome di prestigio come quello di Ponti, conosciuto in Italia ma anche all’estero e già ideatore di importanti complessi direzionali come quelli per la società Montecatini, sempre a Milano, rientrava pienamente nel carattere fortemente promozionale che l’operazione assunse sin da subito. Il grattacielo, definito dal critico d’arte britannico Reyner Banham nel 1961 un perfetto esempio di “architettura pubblicitaria”, rappresentava infatti per l’azienda un potente veicolo di immagine di modernità, progresso, slancio verso il futuro, internazionalità e nello stesso tempo di profonda milanesità. Fu infatti oggetto di una campagna di comunicazione che per estensione e durata non aveva eguali “neanche per i più eminenti grattacieli di New York” – scrive sempre Banham. Lo dimostrano i diversi articoli usciti su “Edilizia Moderna”, “Domus”, la rivista “Pirelli” che hanno preceduto e accompagnato la costruzione dell’edificio, e i numerosi materiali pubblicitari “istituzionali” con l’immagine del grattacielo prodotti dalla Pirelli per tutti gli anni Sessanta. Nel 1953 agli studi Valtolina-Dell’Orto e Ponti-Fornaroli-Rosselli fu affidato l’incarico per la progettazione esecutiva, la direzione dei lavori e il collaudo dell’edificio. Il progetto definitivo maturerà a fine 1954: una torre in cemento armato di 127 metri e 31 piani, con una pianta larga al centro che si stringe gradualmente ai lati fin quasi a chiudersi nelle punte. Con l’intervento degli ingegneri Pier Luigi Nervi e Arturo Danusso, chiamati alla progettazione della struttura in cemento armato, il progetto si concluse nel 1956. Il 12 luglio 1956 venne posata ufficialmente la prima pietra del grattacielo: da allora la crescita dell’edificio, piano dopo piano, giorno dopo giorno, scandì nell’immaginario collettivo il ritmo dello sviluppo della Pirelli, di Milano, dell’intero Paese, negli anni del boom economico. Un cantiere straordinario, in cui furono adottate soluzioni mai sperimentate prima.
Tutte le fasi del cantiere, dalla demolizione della Brusada fino al completamento del grattacielo, sono documentate da oltre 230 immagini, pubblicate sul nostro sito. Oltre a Calcagni, fotografo della Direzione Propaganda Pirelli, gli scatti furono realizzati dall’agenzia Publifoto e da noti autori come Aldo Ballo e Giancarlo Scalfati. Da oggi altre fotografie si aggiungono -nell’archivio online- a quelle della costruzione: oltre 390 immagini dell’edificio completato e circa 800 immagini che documentano gli interni dell’edificio, i materiali utilizzati per i rivestimenti, gli arredi. Gli interni sono progettati da Gio Ponti “in relazione e continuità con l’architettura”, secondo un’identità di stile che deve coinvolgere tutti gli ambienti e tutte le componenti d’arredo, nella convinzione “democratica” che tutti gli “abitanti” dell’edificio, dal presidente dell’azienda agli impiegati, debbano vivere gli stessi spazi.
Il design di Ponti coinvolge così le pareti e i pavimenti, tutti rivestiti da gomma e linoleum Pirelli, le porte, gli ascensori, gli orologi, gli apparecchi per l’illuminazione. E i mobili naturalmente, curati soprattutto da Ponti e da Alberto Rosselli: dalle sedie Arflex ai tavoli prodotti dall’azienda Rima in due versioni, per impiegati (con piano in linoleum) e per dirigenti (con piano in legno). Il colore, al quale Ponti teneva particolarmente – come dimostra il suo articolo del 1952 per la rivista “Pirelli”, “Tutto al mondo deve essere coloratissimo” – è utilizzato come “correttivo alla monotonia e alla impersonalità degli spazi” nelle porte, rivestite in linoleum rosso, e nei pavimenti, in linoleum “fantastico” giallo e nero. I servizi fotografici, realizzati nel 1960 con l’edificio ancora pressochè vuoto, documentano atri, corridoi, uffici, sale riunioni, toilette, la mensa, il centro meccanografico, l’auditorium da 600 posti destinato ai congressi e alle manifestazioni del Centro Culturale Pirelli. Tra le foto pubblicate trovano spazio anche i servizi di due grandi fotografi, Gianfranco Corso ed Enzo Nocera, che ritraggono i dipendenti Pirelli nel grattacielo per le inchieste sul lavoro pubblicate tra il 1974 e il 1975 sull’house organ “Fatti e Notizie”. Splendidi reportage che ci permettono di “entrare” nella storia di un edificio che da sessant’anni caratterizza lo skyline della città di Milano.