Corruzione, una “zavorra” da 60 miliardi sulla fragile economia
Incidenze e coincidenze, per usare una felice espressione di Leonardo Sciascia. Ovvero involontarie ma felici sintonie lessicali. Tra la Cgil e Confindustria. Sui temi della corruzione e della necessità della legalità. “Togliere la zavorra al mercato” e cioè “creare sviluppo e occupazione attraverso la legalità” era il titolo d’un interessante convegno organizzato il 14 novembre scorso dalla Cgil lombarda e dall’università Bocconi (il Dipartimento di Studi Giuridici “Angelo Sraffa”) per discutere del peso sull’economia di corruzione e mafia. “La corruzione zavorra dello sviluppo” è il titolo della presentazione degli “Scenari economici” del Centro Studi Confindustria, mercoledì 17 dicembre, a Roma. Illegalità come “zavorra”, appunto. “Zavorra” è la parola comune: ostacolo per una buona cultura di mercato (è la Cgil, a usare il termine “mercato”), distorsione d’una equilibrata crescita economica e sociale, frattura nel mondo delle imprese, del lavoro, del miglioramento della società. E legalità, invece, vissuta come asset della competitività d’un territorio, oltre che naturalmente come condizione essenziale dell’etica della comunità e della convivenza civile.
Sono concordanze importanti, in chiave di positiva cultura d’impresa. Da sottolineare con soddisfazione. Perché pesa, la corruzione, sulla già fragile economia italiana. Quanto? “60 miliardi all’anno, la metà del totale europeo”, documenta il primo Rapporto della Commissione Ue sul tema, presentato ai primi di febbraio 2014 a Bruxelles da Cecilia Malström, Commissaria agli Affari Interni. Il 75% dei cittadini europei, ma addirittura il 97% degli italiani, tutti cioè, secondo un sondaggio di Eurobarometro, considerano “dilagante” la corruzione a casa propria. Dunque, un degrado politico e sociale con cui fare severamente i conti. Da parte della politica, della società civile e degli attori economici. 60 miliardi era la stima contenuta nella relazione della Corte dei Conti, all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Nel febbraio 2012, quasi tre anni fa, dunque. E già allora la magistratura contabile denunciava: “Illegalità, corruzione e malaffare sono fenomeni ancora notevolente presenti nel Paese”, mentre il Procuratore Generale della Corte Maria Teresa Arganelli sottolineava che a questi livelli “la corruzione minaccia la libertà delle imprese e mina la fiducia degli investitori stranieri”. Tre anni persi, potremmo dire adesso, visto che il problema si ripropone, in modi e forme ancora più gravi.
Una conferma della crisi di legalità e dunque delle alterazioni dell’economia arriva da Trasparency International, che nella classifica 2014, pone l’Italia al 69° posto su 175 paesi esaminati: la posizione peggiore d’Europa, accanto a Romania, Bulgaria e Grecia. L’indice misura “la percezione della corruzione” paese per paese e dice dunque quanto gli italiani avvertano come pervasiva la “cattiva economia delle tangenti” e in difficoltà la ripresa, la crescita della ricchezza “regolare” e del lavoro.
Tema gravissimo, dunque. Non solo italiano. Ma qui da noi, come documenta appunto Trasparency, più pesante che altrove. Per capire meglio, vale la pena leggere un buon libro, “Corruption – Economic Analysis and International Law”, scritto da due economisti italiani, Marco Arnone e Leonardo S. Borlini e pubblicato da Edward Elgar, con prefazioni di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia e Gabrio Forti, professore di Diritto Penale all’Università Cattolica di Milano. “Là dove proliferano corruzione pubblica e privata, i mercati sono dominati da distorsioni e inefficienze” e “il malfunzionamento dei mercati genera vantaggi solo per lobby di privilegiati, interni alle strutture corrotte”, sostiene Padoan. Zavorra, appunto. E limiti allo sviluppo.
“Italia, meno burocrazia per rilanciare la crescita”, notava un documento del Centro Studi Confindustria (l’indagine è di Loredana Scaperrotta) di cui avevamo parlato, su questo blog, il 25 febbraio, sostenendo, appunto in chiave di sviluppo del sistema Paese, che “un aumento dell’efficienza della Pubblica Amministrazione dell’1% genera un incremento del Pil pro capite dello 0,9%” ma anche una crescita degli investimenti internazionali, con effetti positivi sull’occupazione. L’indicazione sinterica è chiara: “Occorre sciogliere i nodi della burocrazia: troppe e complesse regole, tempi di risposta lunghi e incerti, costi insostenibili della macchina pubblica, anche della politica, imbrigliano lo sviluppo soprattutto delle aziende più dinamiche”.
Come avere un minor livello di corruzione? Repressione giudiziaria e sanzioni sociali a parte (troppo a lungo vaste aree del mondo politico e dell’opinione pubblica hanno avuto atteggiamenti indifferenti o maliziosamente ammiccanti o addirittura complici con corrotti e corruttori, evasori fiscali e “amici degli amici” legati ai mafiosi), servono minori intermediazioni pubbliche, politiche e amministrative. E giustizia efficiente ed efficace. E trasparenza (anche attraverso un severo impegno dei media). Ricordando anche alcune antiche buone lezioni. Quella di Max Weber (“La burocrazia è tra le strutture sociali più difficili da distruggere”) e quella di Gaetano Salvemini (“L’albero mortifero della burocrazia, lenta, complicatissima, non rispondente affatto ai bisogni delle popolazioni perché risponde esclusivamente ai propri”. Moniti d’un secolo fa. Attualissimi.
Incidenze e coincidenze, per usare una felice espressione di Leonardo Sciascia. Ovvero involontarie ma felici sintonie lessicali. Tra la Cgil e Confindustria. Sui temi della corruzione e della necessità della legalità. “Togliere la zavorra al mercato” e cioè “creare sviluppo e occupazione attraverso la legalità” era il titolo d’un interessante convegno organizzato il 14 novembre scorso dalla Cgil lombarda e dall’università Bocconi (il Dipartimento di Studi Giuridici “Angelo Sraffa”) per discutere del peso sull’economia di corruzione e mafia. “La corruzione zavorra dello sviluppo” è il titolo della presentazione degli “Scenari economici” del Centro Studi Confindustria, mercoledì 17 dicembre, a Roma. Illegalità come “zavorra”, appunto. “Zavorra” è la parola comune: ostacolo per una buona cultura di mercato (è la Cgil, a usare il termine “mercato”), distorsione d’una equilibrata crescita economica e sociale, frattura nel mondo delle imprese, del lavoro, del miglioramento della società. E legalità, invece, vissuta come asset della competitività d’un territorio, oltre che naturalmente come condizione essenziale dell’etica della comunità e della convivenza civile.
Sono concordanze importanti, in chiave di positiva cultura d’impresa. Da sottolineare con soddisfazione. Perché pesa, la corruzione, sulla già fragile economia italiana. Quanto? “60 miliardi all’anno, la metà del totale europeo”, documenta il primo Rapporto della Commissione Ue sul tema, presentato ai primi di febbraio 2014 a Bruxelles da Cecilia Malström, Commissaria agli Affari Interni. Il 75% dei cittadini europei, ma addirittura il 97% degli italiani, tutti cioè, secondo un sondaggio di Eurobarometro, considerano “dilagante” la corruzione a casa propria. Dunque, un degrado politico e sociale con cui fare severamente i conti. Da parte della politica, della società civile e degli attori economici. 60 miliardi era la stima contenuta nella relazione della Corte dei Conti, all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Nel febbraio 2012, quasi tre anni fa, dunque. E già allora la magistratura contabile denunciava: “Illegalità, corruzione e malaffare sono fenomeni ancora notevolente presenti nel Paese”, mentre il Procuratore Generale della Corte Maria Teresa Arganelli sottolineava che a questi livelli “la corruzione minaccia la libertà delle imprese e mina la fiducia degli investitori stranieri”. Tre anni persi, potremmo dire adesso, visto che il problema si ripropone, in modi e forme ancora più gravi.
Una conferma della crisi di legalità e dunque delle alterazioni dell’economia arriva da Trasparency International, che nella classifica 2014, pone l’Italia al 69° posto su 175 paesi esaminati: la posizione peggiore d’Europa, accanto a Romania, Bulgaria e Grecia. L’indice misura “la percezione della corruzione” paese per paese e dice dunque quanto gli italiani avvertano come pervasiva la “cattiva economia delle tangenti” e in difficoltà la ripresa, la crescita della ricchezza “regolare” e del lavoro.
Tema gravissimo, dunque. Non solo italiano. Ma qui da noi, come documenta appunto Trasparency, più pesante che altrove. Per capire meglio, vale la pena leggere un buon libro, “Corruption – Economic Analysis and International Law”, scritto da due economisti italiani, Marco Arnone e Leonardo S. Borlini e pubblicato da Edward Elgar, con prefazioni di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia e Gabrio Forti, professore di Diritto Penale all’Università Cattolica di Milano. “Là dove proliferano corruzione pubblica e privata, i mercati sono dominati da distorsioni e inefficienze” e “il malfunzionamento dei mercati genera vantaggi solo per lobby di privilegiati, interni alle strutture corrotte”, sostiene Padoan. Zavorra, appunto. E limiti allo sviluppo.
“Italia, meno burocrazia per rilanciare la crescita”, notava un documento del Centro Studi Confindustria (l’indagine è di Loredana Scaperrotta) di cui avevamo parlato, su questo blog, il 25 febbraio, sostenendo, appunto in chiave di sviluppo del sistema Paese, che “un aumento dell’efficienza della Pubblica Amministrazione dell’1% genera un incremento del Pil pro capite dello 0,9%” ma anche una crescita degli investimenti internazionali, con effetti positivi sull’occupazione. L’indicazione sinterica è chiara: “Occorre sciogliere i nodi della burocrazia: troppe e complesse regole, tempi di risposta lunghi e incerti, costi insostenibili della macchina pubblica, anche della politica, imbrigliano lo sviluppo soprattutto delle aziende più dinamiche”.
Come avere un minor livello di corruzione? Repressione giudiziaria e sanzioni sociali a parte (troppo a lungo vaste aree del mondo politico e dell’opinione pubblica hanno avuto atteggiamenti indifferenti o maliziosamente ammiccanti o addirittura complici con corrotti e corruttori, evasori fiscali e “amici degli amici” legati ai mafiosi), servono minori intermediazioni pubbliche, politiche e amministrative. E giustizia efficiente ed efficace. E trasparenza (anche attraverso un severo impegno dei media). Ricordando anche alcune antiche buone lezioni. Quella di Max Weber (“La burocrazia è tra le strutture sociali più difficili da distruggere”) e quella di Gaetano Salvemini (“L’albero mortifero della burocrazia, lenta, complicatissima, non rispondente affatto ai bisogni delle popolazioni perché risponde esclusivamente ai propri”. Moniti d’un secolo fa. Attualissimi.